Quantcast
Channel: Editoriali – l’Opinione Pubblica
Viewing all articles
Browse latest Browse all 260

L’arroganza di chiamarsi Ernesto

$
0
0

L’esito del referendum consultivo del Regno Unito sulla permanenza nell’Unione Europea ha mostrato un Paese spaccato in cui la maggioranza è insoddisfatta dallo sviluppo politico economico dell’organizzazione sovranazionale. Le reazioni, come prevedibile, non sono state certo rispettose di fronte alla manifestazione di una scelta che, fino a prova contraria, è stata pienamente democratica e legittima.

Confrontarsi con un voto diametralmente opposto è molto difficile: entrano in campo scelte complesse e riuscirle a soppesarle non è certo una cosa semplice, tanto che in nazioni come la nostra è costituzionalmente vietato il referendum su trattati internazionali. Giusto o sbagliato? Difficile da dire, ma se è complesso uscirne, chi ha deciso se entrare?

Non è necessario essere esperti di storia o relazioni internazionali per notare come in tutte le epoche siano sorte strette relazioni tra i popoli che avevano tanti pregi cui si affiancava uno svantaggio enorme: tutti insieme restiamo, tutti insieme cadiamo. Cioè tanto più le relazioni diventano strette e se ne può trovare giovamento, tanto più la crisi di uno può determinare la caduta di tutti. Fin dai tempi più remoti, quando i popoli stringono alleanze molto solide, come delle microglobalizzazioni, la caduta di uno ha effetti nefasti su tutte le altre.

Il pericolo che ieri si paventava con la cosiddetta Grexit ma anche con le possibili vittorie delle destre euroscettiche, è proprio nell’effetto domino che tra nazionalisti e referendum crollino le fondamenta andando infine a intaccare pure i più prosperosi come i tedeschi. Inoltre, le risposte sono sempre le stesse: fior di intellettuali, personaggi pubblici, politici e gli stessi vertici UE che ammoniscono sui rischi dell’uscita.

Intendiamoci: i rischi sono quanto meno realistici, purtroppo viviamo in un mondo rovesciato dalla finanza e il broker della city ha un potere effettivo. Questo potere è controbilanciato da una certa sofferenza e frustrazione dai ceti più bassi che non hanno le medesime competenze economiche, ma vivono e provano sulla loro pelle tutti i rischi e gli svantaggi della meravigliosa Unione.

Allora se i vari Salvini e Le Pen non hanno mai aperto un libro di economia, non hanno concrete soluzioni per un’Europa diversa; se, inoltre, la loro idea di uscire dalle rovine prima di crollarci assieme è bella politicamente ma “nasconde” insidie economiche difficilmente superabili, non gli si può però far colpa di raccogliere le lamentele di chi sta male e non viene ascoltato da chi invece gli impone di votare in modo politicamente corretto.

È proprio il voto conformista quello che rende maggiormente perplessi: il suffragio universale è una delle conquiste del XX secolo, ma ci rendiamo conto soprattutto oggi che se alcuni soggetti votano il politico che si presenta col cagnolino più dolce o quello che promette la Luna, diventa discutibile uguagliarli agli elettori più informati. Questo è però un discorso estremo ed evidente: cosa dire di chi da qui se ne approfitta e vorrebbe restringere il voto a una cerchia tanto stretta tra laureati, investitori e professionisti che in sostanza ha i suoi stessi interessi? La falsa democrazia del “pensa come vuoi finché pensi come me” fa passi avanti.

Pretendersi unici legittimati al voto in virtù delle proprie competenze nel tema forse non è così stupido, ma proporre di restringere solo a chi ci piace è una distorsione evidente finanche ipocrita, soprattutto se coloro che la sbandierano sono gli stessi che vogliono più Europa e la magnificano rispetto a esempi come la Bielorussia di Lukashenko che vince le elezioni con percentuali tanto alte da apparire sospette: ma imponendo restrizioni al voto per competenza non vogliono, in fin dei conti, risultati altrettanto dubbi? Un bell’esempio di doppiopesismo: chi ha più dignità di voto tra il povero zoticone europeista duro e puro e il finanziare del centro che non ha mai creduto in via sua nell’Unione Europea?

Le questioni economiche – come anticipato – sono, se non effettive, quanto meno realistiche, e se qualcuno vota contro nonostante tutto, qualche domanda sulle loro condizioni è bene porsela. Però se siamo arrivati a questo punto di non ritorno, per cui uscire o entrare diventa il problema di che morte morire, diventa pretestuoso strumentalizzare la necessaria riflessione a fini politici: un’Europa fondata sul libero scambio e la circolazione è legittima, ma non l’unica prospettabile. I valori liberali e liberisti, se veramente volessero rappresentare il pluralismo, dovrebbero confrontarsi anche con i più diversi. Se l’ex direttore generale della commissione UE Riccardo Perissich a Omnibus dice “Non voglio più sentir parlare di Europa dei popoli, l’Europa va avanti da cinque secoli grazie alle banche”, che possibilità di dibattito lascia intendere?

L’Unione Europea è solo una delle possibili forme dello spirito europeo unito oltre le diversità. Quella che voleva Spinelli probabilmente non era questa, dominata da valori più economici che spirituali, culturali e umani. Non si riesce a trovare una politica comune e chi dirige spesso non conosce chi dovrà mettere in pratica le proprie decisioni e non mette sé stesso in discussione. Gli inglesi probabilmente hanno espresso un voto non sbagliato ma economicamente pericoloso, più per gli altri che per sé stessi, d’accordo, ma le alte gerarchie cosa han fatto per convincerli a rimanere? Hanno forse proposto qualcosa di alternativo?

Pretendere che con minacce più o meno esplicite e l’imposizione di vincoli, politiche di tolleranza e di austerità il popolo elettore poi scelga come preferiscono loro è forse quasi più stupido che non il voto in sé contro l’economia; e che dei ragazzi siano per forza più coscienti degli anziani che hanno dalla loro parte decenni di esperienza in più non sembra molto onesto, ma non hanno forse anche loro degli interessi? Loro hanno votato come tutti per gli interessi generali pensando dal proprio punto di vista. Immaginiamoci un paese con 10 imprenditori laureati e 100.000 operai non istruiti, alle elezioni ci sono da una parte il partito liberale e dall’altra quello socialista. E’ abbastanza ovvio che vincerà il secondo, ma è illegittimo solo perché la maggioranza di chi vota ha un’istruzione molto inferiore?

Giulio Sibona

Pubblicato su l'Opinione Pubblica - Quotidiano Indipendente di Informazione - Diamo spazio al tuo punto di vista da Redazione


Viewing all articles
Browse latest Browse all 260

Trending Articles