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Terremoto, le due facce dell’Italia

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Continua a salire il numero delle vittime, siamo a 247 morti (200 solo nel paesino di Amatrice) nel frattempo le squadre di soccorso continuano a scavare senza sosta tra le macerie, nella speranza di estrarre quanti più sopravvissuti possibile. Nel 2009, a L’Aquila, l’ultimo sopravvissuto venne recuperato dopo ben 72 ore.

Ha colpito con il buio, come purtroppo ci ha abituati da tempo. Ha colpito quando nessuno, adulti e bambini, avrebbe avuto il tempo di mettersi in salvo. Alle 3:36 della scorsa notte un sisma di magnitudo 6 ha devastato alcuni centri tra il Lazio, l’Umbria e le Marche. Tutti borghi antichi, con palazzine storiche che non avrebbero mai potuto reggere all’urto di un terremoto di questa portata. Quando si finirà di scavare, arriverà il momento della conta dei danni e delle responsabilità. Ci si chiederà fino a che punto si poteva intervenire per evitare una sciagura del genere in una zona, quella che drammaticamente comprende tutta la catena appenninica, ad alto rischio sismico.

È come un déjà-vu rivedere le facce di queste persone disperate, senza più neanche i vestiti, persone che hanno perso tutto. Dal terremoto de L’Aquila nel 2009 a quello dell’Emilia Romagna del 2012. Anni e anni di sacrifici buttati all’aria in una manciata di secondi. Sciagure come questa ci fanno sentire talmente piccoli difronte ad una realtà che conosciamo troppo poco, ma che forse potremmo limitare, se solo ci attenessimo rigidamente a quanto, fino ad oggi, si conosce in termini di sicurezza.

La solidarietà degli italiani, come sempre in queste occasioni, non è mancata. Carovane di aiuti alimentari e farmaceutici continuano ad affluire nelle zone più colpite, in molti si rimboccano le maniche per aiutare negli scavi. Tuttavia non è mancata la stupidità di quanti dalla trincea dei social network non hanno perso tempo per attaccare i rifugiati o come per chi, nell’era del cinismo estremo è riuscito a sputare battute e commenti da far accapponare la pelle.

Non sarà questo il caso ci si augura, ma sarebbe più opportuno che questo risentimento venisse canalizzato in maniera più proficua verso quelle persone, costruttori e burocrati, davvero responsabili nel 90% dei casi, di questi disastri. Bisognerebbe chiedere giustizia per queste persone che in un modo o nell’altro la fanno sempre franca.

Questo nel caso in cui davvero dovessimo trovare per forza un colpevole. Chi abita in queste zone ad alto rischio sismico, in paesini di poche migliaia di abitanti, splendidi borghi antichi costituiti per lo più da case che hanno centinaia di anni, è sempre un minimo consapevole dei rischi che corre. Controllare la natura è una sfida che nonostante migliaia di anni di evoluzione, puntualmente continuiamo a perdere. L’unica cosa che ci è dovuta è una pronta reazione a queste sciagure che oltre a lasciare morte e devastazione rischiano di lasciare persone senza una casa per anni.

La storia dell’Italia è segnata da disgrazie del genere. La più grave nel 1908. Nella notte del 28 dicembre alle 5:20 un terremoto devastò Messina e Reggio Calabria uccidendo più di 100.000 persone. La metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella calabrese. E’ stato il sisma più devastante in termini di vite umane. Siamo un paese a rischio, e lo saremo sempre.

Quello che per coscienza dovremmo fare è cercare di limitare al massimo in danni in termini di vite umane, facendo in modo di costruire responsabilmente e con tutti i criteri del caso. I terremoti ci saranno sempre purtroppo ma con un po’ di impegno potrebbero fare meno male di quanto hanno fatto fino ad oggi.

Federico Di Vito

Pubblicato su l'Opinione Pubblica - Quotidiano Indipendente di Informazione - Diamo spazio al tuo punto di vista da Federico Di Vito


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